lunedì 27 settembre 2010

Natsuo Kirino, “L’isola dei naufraghi”.

La trama di questo romanzo non è per niente originale: in un breve lasso di tempo, anche se a più riprese, approdano su un'isola disabitata dall’uomo più persone, che prima di pensare al modo per riuscire a tornare nel mondo civile, si trovano a dover fare i conti con la loro stessa sopravvivenza. Passeranno gli anni, ma rimarranno sempre là, dimenticate da tutti.L'originalità sta, invece, nel fatto che il gruppo di naufraghi è costituito da 35 uomini, di cui 24 giapponesi e 11 cinesi, e da una sola donna che, con i suoi quarant'anni passati, è la più grande d'età.Intorno a queste circostanze, spiattellate subito, nelle prime due-tre pagine del libro, l'autrice descrive un decennio di vita sull’isola, facendo vivere al lettore il crescendo di umori e il modo sempre più distorto di percepire la realtà da parte dei protagonisti. A tal proposito, encomiabile è la percezione di come l’influenza della vita civile sui naufraghi col tempo venga meno, finendo col determinare nel gruppo un equilibrio che da principio poteva sembrare inconcepibile. Amori e odi, coalizioni e litigi, speranze e delusioni sono tutte riportate ad un ambiente ristretto e assolutamente inconsueto che, a mo' di tavolo di laboratorio, rivela un esperimento a vivo sulla psiche umana.Con l'isola dei naufraghi la Kirino (autrice che, a quanto apprendo, è tra le più apprezzate in Giappone) ha portato a termine un'opera a mio giudizio difficilissima, dato il poco spazio che era rimesso alla fantasia, sapendola, anzi, imbastire di colpi di scena e capovolgimenti di fronte nei punti giusti.Anche lo stile narrativo adottato mi sembra originale, o quantomeno inconsueto, dato che, per la prima metà del romanzo può rappresentarsi come un grande pennello che passa e ripassa sullo stesso punto, rilasciando ogni volta una quantità di vernice in più, rendendo l’immagine via via sempre più nitida. E' l'immagine dell’equilibrio che i naufraghi trovano sull'isola, dopo lunghi anni di difficile sopravvivenza. Superata la metà, invece, gli eventi conoscono una svolta inattesa e, con essa, si ha anche un’accelerazione nella narrazione: non più un passa e ripassa, ma uno stile fluido, forse a volte anche precipitoso, che lo porta verso un finale, vi assicuro, inatteso e, a tratti, perfino emozionante.Messa da parte la noia che -questo va pur detto- di tanto in tanto mi ha accompagnato nella lettura, l'isola dei naufraghi va certamente considerata un'opera interessante e gravida di spunti di riflessione.

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